Con la "forza dell'archivio" si è perpetrata l'abbazia
«La si è presentata a Rodengo la pubblicazione curata da Simona laria del registro dell'olivetano Camassei, abate nel 1732-35Cosa c'è di meglio di un libro per celebrare un'importante ricorrenza? Per conoscere la presenza Olivetana a Rodengo e in Franciacorta, ecco il volume «La forza dell'archivio» di Simona laria, ricercatrice dell'Università Cattolica, al centro del convegno tenuto nei giorni scorsi nell'Abbazia di S. Nicola in occasione di due anniversari, il 40 ° del ritomo dei monaci a Rodengo e il 400° della canonizzazione del-l'oblata Olivetana S. Francesca Romana.Promosso dall'Abbazia in collaborazione con gli Enti che hanno cooperato a realizzare il libro e incluso negli eventi patronali di Brescia, l'incontro ha richiamato un foltissimo pubblico. L'opera, primo volume della collana «Quaderni di Brixia Sacra», è nata dalla felice sinergia tra Associazione «Amici dell'Abbazia», Associazione per la storia della Chiesa bresciana e Fondazione Civiltà bresciana, col sostegno e la collaborazione della Comunità monastica e del Comune di Rodengo, Provincia di Brescia, Università cattolica del Sacro Cuore, Museo nazionale della fotografia «Sorlini», Associazione culturale Sconfinarte.Emblematico il titolo: grazie ai documenti, gli Olivetani poterono tutelare proprietà e diritti dell'Abbazia sia in epoche travagliate sia nelle controversie che caratterizzano tutti i tempi; il libro è l'edizione, con ampio commento storico-artistico, del registro archivistico dell'abbazia, steso dall'oli-vetano Angelo Maria Camassei, abate di S. Francesca Romana a Brescia dal 1732 al 1735. Dal manoscritto, scoperto dalla responsabile dell'Archivio di Stato di Brescia, Mariella Annibale Marchi-na, emergono i rapporti del monastero col territorio, le chiese dipendenti, la rivoluzione agricola e la bonifica dei monaci. Data la dispersione di gran parte dell'archivio per le soppressioni in età napoleonica, il volume della laria è fondamentale per ricostruire la presenza Olivetana a Rodengo dal 1446 al 1735: «che fu all'insegna del rapporto con la popolazione perché ieri come oggi la chiesa del monastero è la parrocchiale del paese», nota don Alfonso Serafini. Quattro i relatori, coordinati da Gabriele Archetti dell'Università Cattolica: Gian-carlo Andenna e Mauro Tagliabue dell'Università Cattolica di Milano; don Giuseppe Fusari, direttore del Museo Diocesano di Brescia; don Michelangelo Tiribilli, abate generale degli Olivetani.La strenua difesa dei diritti dell'AbbaziaRodengo era inizialmente Priorato cluniacense, attestato dal 1090; sulla diffusione di quest'Ordine si è soffermato Andenna: «I Cluniacensi si diffusero in pianura Padana e in Italia nel secolo XIgrazie ai rapporti con le famiglie comitali ma anche coi valvassori e i "milites"; godendo di capitali elargiti dai sovrani, crearono 28 priorati in Italia. Rodengo acquisì chiese, proprietà e diritti sul territorio attraverso donazioni private, contratti in séguito a prestiti o grazie a famiglie contrarie alla riforma di Gregorio VII, che indeboliva l'integrità territoriale cluniacense. I cenobi, indipendenti dalla Casa madre, erano un sistema di organismi radicati sul territorio che inglobavano i tré ordini sociali e li facevano interagire. Soprawissero fino alla seconda metà del 1100, quando non si adattarono all'economia monetaria delle città comunali;l'appoggio al Barbarossa fu poi fatale all'Ordine, messo in disparte dalla Chiesa».Tagliabue ha rilevato che la pubblicazione del Camassei era attesa dal 2002, quando la sua importanza emerse nel corso delle ricerche dei 17 studiosi impegnati nel ponderoso volume sul monastero di Rodengo; Abbazia e «Amici dell'Abbazia» ne caldeggiarono l'edizione, che giunge oggi con ampia introduzione, elenchi dei monaci di Rodengo, ricostruzione della vita dell'autore. «L'ottica del Camassei nel riordino di documenti - dice Tagliabue - è tipicamente Olivetana, cioè attualizzata alla sua epoca e l'aspetto più originale è la difesa dei diritti dell'abbazia».L'importanza del Camassei nei saggi di Begni Redona, Prestini e Volta nel volume del 2002 è sottolineata anche da don Fusari: «Sotto il profilo artistico, spicca l'attenzione storica del Camassei, tipica dei "lumi": la prospettiva Olivetana è la presa d'atto della decadenza dell'abbazia tra la commenda del Caprioli e l'arrivo degli Olivetani nel 1446, che la riedificarono. Emergono i suoi gusti: il Poppa, citato solo una volta, è "mastro Vincenzo". Non parla del Romanino; Lattanzio Gambara è invece "celeberrimo" e col suo manierismo intriso di leggerezza classica si sposa con la leggerezza delle apprezzate quadrature settecentesche nella chiesa e con la seriazione di colonne del chiostro della cisterna».Don Tiribilli ha infine ricostruito il culto di S. Francesca Romana, nata nel 1384 da nobile famiglia dell'Urbe: «È modello vàlido ancora oggi per la donna, in quanto fu inserita nel suo territorio e nella società all'insegna dell'altruismo e della carità; intendeva consacrarsi, ma venne sposata e fu madre. Si santificò nella vita secolare col volontariato e aprendo la casa ai bisognosi. Vedova, fu oblata e abbracciò la spiritualità Olivetana».Scarduelli
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